"Andrea Zanzotto" di Annamaria Gazzarin

20.01.2022

ANDREA ZANZOTTO

Un poeta, una voce, una coscienza.


Il 2021 è stato l'anno in cui si è celebrato il Centenario della nascita del grande poeta veneto Andrea Zanzotto, nato il 10 ottobre 1921 a Pieve di Soligo in provincia di Treviso.Un alto profilo nel panorama letterario del secondo Novecento che meriterebbe un'attenzione maggiore e un più cospicuo numero di pagine nelle antologie delle nostre scuole superiori, dove è poco presente.

"La poesia serve a ri-sensibilizzare il pensiero"

Il mio incontro decisivo con questo autore risale al dicembre del 2004, quando partecipai alla Conversazione pubblica tra il filosofo Massimo Cacciari e il poeta Andrea Zanzotto, tenutasi al "Teatro Careni" di Pieve di Soligo in provincia di Treviso, dialogo colto e gentile tra Filosofia e Poesia in un tempo in cui già aveva valore solo l'economia. Mi colpì il compito assegnato al linguaggio in versi da quello strano dialogo tra i due intellettuali, il vecchio poeta e l'affascinante filosofo; il compito appunto di "ri-sensibilizzare il pensiero" in quanto voce dell'immaginazione che risuona costantemente perché "nel testo poetico vive qualcosa che non vive nel testo filosofico: la voce, il gesto, il ritmo, la musica". Mentre il filosofo ha la funzione di indagare e rappresentare razionalmente la realtà, giustificando coerentemente le proprie affermazioni, il poeta - libero nell'espressione delle proprie visioni - reinventa continuamente il reale, così il testo poetico è un'emissione di suoni che comunicano molto spesso un messaggio diverso da quello che appare in prima istanza. Le parole della poesia veicolano altre parole e per questo hanno un fascino enorme: dicono molto di più di ciò che apparentemente dicono e non vogliono esaurirsi nell'essere comprese. Così si compie questo processo di ri-sensibilizzazione, una vera e propria rigenerazione del pensiero che viene vivificato, come la lingua, ogni volta che leggiamo o componiamo dei versi.

Decisi allora che dovevo conoscere il vecchio poeta, sapere di più su quell'uomo che aveva chiuso la conversazione regalandoci questi tre versi strepitosi:

"In questo progresso scorsoio

non so se vengo ingoiato

o se ingoio"

Tre versi - anticipazione di una Conversazione futura con il giornalista Marzio Breda - nei quali aveva saputo descrivere la vita contemporanea, denunciandone l'ingordigia frenetica per lanciare un'allerta che a nessuno, allora come oggi, interessava cogliere.

Va detto subito che un aspetto peculiare di Zanzotto è la continua sperimentazione linguistica, sviluppatasi lungo diversi binari nel corso della sua intera esistenza. Egli vuole provare le diverse potenzialità espressive delle parole, nel senso proprio di sperimentarne i molteplici significati letterali e simbolici, gli effetti sonori e visivi, il valore emotivo. E questo si esplica in una ricerca costante, finalizzata alla conoscenza naturale della lingua madre, il Dialetto, di quella infantile, il Petél, di quella nazionale, l'Italiano, derivato dal Latino, influenzato dal Greco e contaminato da francesismi ed anglicismi. Così la poesia è "il continuo gioco del trapungere, penetrare il mondo e ritirarsi, unire e tagliare".

"La poesia è anche sperimentale, come si suol dire, cioè cerca strade nuove e impreviste che ammettono, per esempio, che si possa introdurre un errore di ortografia ... è come un'innovazione ... oppure improvvisamente si introduce un frammento in latino, o anche in inglese è facile scivolare dentro ...".

Come la ricerca e la sperimentazione linguistica costituiscono il modo di operare di Zanzotto, così la Natura è il tema portante della sua lirica e il Paesaggio nelle sue varie forme ne è l'incarnazione, un "immenso donativo", "il respiro della psiche".

"Noi siamo dentro, dietro, immersi NEL paesaggio. Noi siamo una spoletta che gira dentro il paesaggio, il paesaggio punge e trapunge".

Zanzotto fin da bambino stabilisce con il paesaggio un rapporto che è fisico e metafisico, un amore - eros incondizionato; egli ama così intensamente il "suo" paesaggio da assumerne su di sé, fino a sublimarle nei suoi scritti, le profonde lacerazioni provocate dalla guerra, prima, e dall'homo oeconomicus dopo.

"Prima c'erano i campi di sterminio, ora c'è lo sterminio dei campi ed è la stessa logica. Ma la sacralità della vita è affidata a noi. E noi dobbiamo resistere come le ginestre, come i topinambur che popolavano le nostre campagne e ora arretrano sempre più a causa della cementificazione ...".

Quando con alcuni studenti andammo a trovarlo, solo un anno prima che morisse, ci accolse con paterna bonarietà nello studiolo a piano terra della sua casa a Pieve di Soligo; aveva in mano un volumetto, dal quale iniziò subito a leggere perché, ci disse, per capirlo bisognava partire dai suoi scritti in prosa, non dalle poesie. E così ci spiazzò subito. Avevamo preparato quell'incontro nei minimi dettagli, studiando le domande più adeguate da porgli, senza urtare la sua sensibilità di anziano ipocondriaco - così lo descrivevano tutti - nulla di più falso. Era anziano sì, ed anche malato, ma emanava una forza strepitosa, tale da impedire qualsiasi gesto di scherno per quel berretto verde di lana con cui si proteggeva il capo in una giornata calda di maggio, da parte di quei ragazzi che dei grandi poeti forse si erano fatti tutta un'altra idea. Lui era così, naturalmente umile ed antiretorico.

Non scorderò mai la naturalezza con cui, alla domanda: "Chi è per lei l'autore più importante della nostra Letteratura?", postagli da uno studente, iniziò a recitare a memoria il canto III del Paradiso, affermando risoluto: "Dante Alighieri perché mentre componeva la Commedia, creava la nuova lingua, la nostra". Dalle sue parole e da tutta la sua figura trasudava una profonda conoscenza dei Classici antichi e moderni, italiani ed europei. Una cultura di ampio respiro la sua, senza confini.

E noi rinunciammo alle nostre domande per assaporare la sua intensa lezione di Letteratura intesa come testimone e direttrice di un mondo - altro, come un potere che non associandosi con il Potere ne denuncia le contraddizioni e proprio attraverso la Poesia, parola lanciata OLTRE, può restaurare il vuoto che c'è nel mondo.

"La missione del poeta è restaurare il vuoto che c'è nel mondo attraverso la trama dei versi, è opporsi alla negazione iniziale".

"La poesia rimane un valore primario anche in un mondo sconvolto da tante forze paurosamente contrastanti. La sua voce può sembrare quella di un grillo parlante ma di fatto riafferma con insistenza il comune anelito all'amore e alla pace espressi in armonia".

Oggi l'uomo Andrea Zanzotto non c'è più, ma l'intellettuale - per la sua poesia, per il suo messaggio sociale, per il suo arduo mosaico linguistico - occupa un posto essenziale nella cultura italiana ed internazionale e la sua grandiosa produzione, in versi e in prosa, può insegnarci ancora molto.


Annamaria Gazzarin

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