Antonia Pozzi (di Annamaria Gazzarin)

01.09.2022

Scrivere poesie d'amore come antidoto alla condanna di essere donna.


Durante il mese di luglio di questa calda, torrida estate, girovagando tra gli scaffali della biblioteca comunale del mio paese, alla ricerca di qualcosa che stemperasse l'apatia che il caldo mi aveva appiccicato addosso, ho "incontrato" una giovane poetessa a me, ahimè, ancora sconosciuta.


Se ne stava lì, tra la Dickinson e la Merini, piccola piccola, taciturna, racchiusa in due libercoli dalla copertina colorata - verde con dei fiori viola uno, giallo con foglie multiformi l'altro - quasi ad aspettarmi. Il mio sguardo cadde subito, fulminato, su quel "È terribile essere una donna", titolo di una raccolta di lettere, una sorta di autobiografia epistolare, da cui emergono la profonda umanità e la viva sensibilità di una ragazza appartenente ad una ricca e colta famiglia dei primi del Novecento. Una giovane donna che può viaggiare e trascorrere le sue vacanze nelle più belle località turistiche italiane e straniere del tempo, praticando sport - sci e tennis - con tanti amici, insomma una persona alla quale sembrerebbe non mancare nulla...non ho indugiato oltre: avevo trovato ciò che cercavo!


Così in questi lunghi, interminabili, pomeriggi di un luglio equatoriale ho letto e riletto quei due libretti: prima le lettere e poi le poesie, e poi ancora le poesie e le lettere, intersecando le une alle altre, affascinata da una scrittura semplice e raffinata ad un tempo, righe e versi così veri da arrivare subito al cuore e ti impediscono di fermarti finché le pagine non restano bianche.


Una giovane coraggiosa potrebbe essere definita Antonia Pozzi (1912 - 1938), se non fosse per quella decisione, presa a soli 26 anni, che la portò a compiere l'atto estremo di togliersi la vita nei pressi dell'Abbazia di Chiaravalle Milanese, per "disperazione mortale", come lasciò scritto nel biglietto di addio ai familiari. Nell'ultima lettera ai genitori, datata 1 dicembre 1938 e ricostruita a memoria dal papà che aveva bruciato l'originale, così si legge:


"...Ho tanto sofferto ... Deve essere qualcosa di nascosto nella mia natura, un male dei nervi che mi toglie ogni forza di resistenza e mi impedisce di vedere equilibrate le cose della vita ... Ciò che mi è mancato è stato un affetto fermo, costante, fedele, che diventasse lo scopo e riempisse tutta la mia vita ... Fa parte di questa disperazione mortale anche la crudele oppressione che si esercita sulle nostre giovinezze sfiorite ...".


E sicuramente Antonia Pozzi fu oppressa da una censura feroce da parte del padre, che le impedì di vivere quel sentimento forte che le esplodeva dentro, ma fu anche sconvolta dalle leggi razziali, emanate nel 1938, che colpirono alcuni dei suoi amici più cari e le fecero dire che l'età delle parole era finita per sempre. Dunque una storia, quella di questa giovane donna, ancora di grande attualità, in cui si intrecciano vicende familiari, personali,e trasformazioni socio-politiche che la porteranno a fuggire "lungi da questo velenoso mondo", da cui si sente drammaticamente attirata e respinta allo stesso tempo.


Coraggiosa dicevo, sì per aver osato, giovane studentessa liceale, esprimere e difendere il proprio amore, vergognoso ed impossibile nella Milano aristocratico-borghese degli anni Venti del secolo scorso, per il suo professore di greco e latino, Antonio Maria Cervi, a cui dedicherà numerose poesie, pubblicate postume e oggi fruibili nella raccolta "Tu sei l'erba e la terra" edita da Garzanti nella Collana I piccoli grandi libri. Nella scrittura, ed in particolare nella poesia, Antonia trova l'antidoto alla sopraffazione di cui è vittima all'interno della propria casa, facendone uno strumento di denuncia sociale che oltrepassa ogni confine.


Le sue poesie, a distanza di quasi cent'anni dalla prima stesura, mi hanno subito affascinata per la modernità del linguaggio e la scarna essenzialità dei versi intrisi di tristezza; sono testi che emanano un amore profondo verso la natura selvaggia delle Alpi, un rispetto quasi religioso verso quelle alture silenziose che la inducono a meditare sulla finitezza della vita, sui limiti umani, sul senso dell'esistenza.


Non fu certo un caso se Eugenio Montale definì questi versi il "diario di un'anima", infatti, Antonia attraverso la scrittura si mette a nudo, come dice lei stessa in Preghiera,dove delinea i tratti di un'anima senza amore e poi in I Fiori in cui "le camelie bianche rosse ridenti" divengono la metafora di un'illusione primaverile di leopardiana memoria.


La scrittrice definisce i suoi versi "le mie poesiucole", forse ignara della loro potenza espressiva che ancora oggi produce forti vibrazioni, coinvolgendo tutti i sensi di chi legge. Lei, infatti, canta l'amore come una necessità esistenziale, grazie al quale è possibile camminare verso l'ignoto senza nulla temere; come antidoto a "questo velenoso mondo che mi attira e mi respinge", come scrive in Fuga o in Vertigine dove la montagna diviene la metafora- personificazione del suo bisogno d'amore. Un amore che si rivela nelle "labbra ignare, inerti, congiunte" con "tutte le luci accese, tutte le porte aperte" ma nel vuoto di una "casa ricca,fredda".


E il vuoto di quella casa le fu fatale.


Per concludere il racconto di questa mia nuova conoscenza poetica, vi propongo la lettura di due brani in cui Antonia Pozzi parla dell'amore e dell'amato: Lieve offerta e Certezza, augurandovi buona poesia!


Annamaria Gazzarin

© 2021 "Poeti2000" (Neoromanticismo digitale). Tutti i diritti riservati.
Creato con Webnode
Crea il tuo sito web gratis! Questo sito è stato creato con Webnode. Crea il tuo sito gratuito oggi stesso! Inizia