"Il valore della parola" di Annamaria Gazzarin

31.01.2022

Il valore della Parola


"La parola è l'ombra dell'azione"

(Democrito, V secolo a. C.)

Credo che la vita dell'uomo prenda forma e si avvii alla completa realizzazione nel momento in cui egli entra in possesso dell'uso della parola e quante più parole apprenderà, tanto più sarà in grado di essere uomo, nel vero senso della parola appunto.

A sostegno di questa mia convinzione, ricordo quanto scritto nel 1967 da Don Milani in Lettera ad una professoressa: "Eguale è chi sa esprimersi e intende l'espressione altrui... Perché è solo la lingua che fa eguali... Finché ci sarà uno che conosce 2000 parole e un altro che ne conosce 200, questi sarà oppresso dal primo. La parola ci fa uguali". Il prete della "rivoluzionaria "Scuola di Barbiana" affermava già allora la necessità di impossessarsi del vero significato del maggior numero di parole per poterci difendere dai soprusi o anche solo dalla superficialità che, spesso, umilia il nostro sentire e impoverisce i nostri pensieri.

E già qualche decennio prima lo scrittore George Orwell nel suo famoso "1984" riconosceva uno stretto legame tra l'uso della parola e lo sviluppo del pensiero, un'interconnessione imprescindibile tra abilità espressiva e libertà di opinione, senza la quale non è possibile maturare una coscienza critica e opporsi ad ogni forma di prevaricazione. Se è vero che la parola dà ala al pensiero, è altrettanto vero che più siamo capaci di pensare in modo complesso e critico, tanto più ricco ed articolato sarà il nostro linguaggio, così da farci intendere e comprendere reciprocamente. Se adeguatamente educati e sviluppati, nonché rispettati, linguaggio e pensiero, sono dunque il presupposto indispensabile del benessere sociale. C'è, infatti, una relazione molto stretta tra come parliamo e scriviamo, come pensiamo, come agiamo.

Credo che ogni forma di scrittura possa assolvere a questo arduo compito di formare menti critiche, perciò libere, ma in particolare lo fa la scrittura in versi in cui ogni parola acquista una molteplicità di significati, non solo per ciò che dice ma anche e soprattutto per ciò che suggerisce. Il linguaggio della poesia si distingue proprio per essere connotativo, evocativo di conseguenza, e vi si approda solo grazie ad un'intensa attività di ricerca che spazia attraverso tutti i saperi, coinvolge tutti i sensi ed impone una continua sperimentazione/revisione lessicale, favorendo un percorso di conoscenza e formazione unico.

Devo riconoscere però che, se una parte di me - quella più intima e introspettiva - può condividere il pensiero espresso da Eugenio Montale in "Non chiederci la parola" (Ossi di seppia 1923), in cui emerge come la parola non possa dare ordine a ciò che ordinato non è, ed in particolare quella del poeta, allora come oggi, non offra formule magiche, non sia portatrice di verità assolute e definitive - una visione chiaramente antitetica a quella di D'Annunzio per il quale "Il verso è tutto" - un'altra, la mia indole più ottimista e pragmatica, preferisce la visione di Luigi Meneghello (Libera nos a Malo 1963) per il quale "la natura delle cose sta nelle parole che le nominano" e, se spariscono le parole, di conseguenza, spariscono anche le cose da esse nominate.

E c'è un termine che sta pian piano scomparendo oggi, nell'indifferenza generale, una parola fondamentale, ma che si usa sempre meno; se, dunque, è l'uso che mantiene in vita le parole, allora questa oggi sembra proprio destinata a scomparire. Si tratta della parola "GRAZIE". Dobbiamo tornare a dire "grazie" per mantenere viva la riconoscenza e combattere la protervia, sempre più diffusa; dobbiamo tornare a dire "grazie" per dare linfa al nostro pensiero e una svolta al nostro agire.


Annamaria Gazzarin

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